Corvette a motore centrale: un breve ripasso

Quando Chevrolet confermò i rumors riguardanti la posizione centrale-posteriore del motore della nuova Corvette C8 la prima parola che mi venne in mente fu…

“… finalmente!”

Non vi informate tramite la rubrica motoristica di TGCom24 e sorprendervi è difficile, quindi sarete a conoscenza del fatto che GM sperimenta da più di mezzo secolo sulla prima sportiva d’America, piazzandoci sopra motori nei posti “inconsueti” e trasmissioni alternative: una Corvette senza motore là davanti prima o poi sarebbe arrivata.

2020 Chevrolet Corvette
“SI PUÒ FARE!”

Questione di tempo e coraggio di reinventare, rivoluzionare un prodotto di consolidato successo: il timore di tradire una tradizione è anche il motivo per cui i cinque prototipi e concept che vedrete in questo articolo, tutti accomunati dal layout meccanico differente dalle ‘Vette a cui siamo abituati, non hanno mai raggiunto la produzione in serie o hanno corso seriamente il rischio di essere distrutti per sempre.

Piccola premessa prima di entrare nel vivo della questione: esaminerò solamente cinque vetture, quelle che ritengo più significative per quanto riguarda l’origine della C8, quindi questo articolo è una semplificazione dello scibile sui prototipi Corvette… anche perché addentrandosi in questa faccenda si scoprono collegamenti con la Chaparral di Jim Hall, rivalità con le Ford GT40 mai sbocciate e richiami alle supercar italiane degli anni ’60, tutte cose interessantissime che però svierebbero l’obiettivo di questo scritto.


CERV 1, 1960

Esatto, quasi sessanta anni fa.

Questa monoposto concepita per gare come Indianapolis 500 e Pike’s Peak non avrebbe dovuto essere costruita visto che GM aderiva all’accordo stretto nel 1957 tra i produttori americani che proibiva l’interessamento diretto delle Case nelle competizioni (in seguito ai fatti di Le Mans 1955): l’acronimo CERV inizialmente significava “Chevrolet Experimental RACING Vehicle”, ma appena gli ingegneri si resero conto che presentare una “roba racing” quando era espressamente proibito li avrebbe costretti a cercare un altro posto di lavoro, corressero il tiro con un più innocuo “Chevrolet Experimental RESEARCH Vehicle”.

La CERV 1 era il banco di prova su cui Zora Arkus-Duntov, direttore del reparto veicoli ad alte prestazioni GM e uno dei principali responsabili dell’introduzione del V8 su una Corvette nel 1955, poteva sperimentare insieme al suo team: telaio tubolare al cromo-molibdeno, carrozzeria in fibra di vetro, sospensioni indipendenti, trazione posteriore, freni a tamburo e come motore… una mezza dozzina di V8; durante la sua carriera lavorativa questa monoposto venne equipaggiata con sette propulsori, da un 283 c.i. completamente in alluminio (353 CV) fino al 377 c.i. simile a quello delle Corvette Grand Sport (i quattro carburatori Weber da 58mm vennero rimpiazzati dall’iniezione), passando per versioni turbo, biturbo e dotate di compressore volumetrico di altri otto cilindri, le più spinte raggiunsero potenze superiori ai 500 cavalli.
Guidata da Dan Gurney, Stirling Moss (cosa non ha pilotato quell’uomo?) oltre che dallo stesso Duntov, prima di andare in pensione nel 1964 riuscì a toccare i 331,7 km/h di velocità massima: la monoposto è ancora tra noi dopo essere miracolosamente scampata alla demolizione.

Chevrolet CERV
La CERV nel suo stato attuale: trova le differenze

Con la CERV 1 nacque l’idea di una Corvette a motore centrale, nonostante non ne abbia mai portato il nome: Zora Arkus-Duntov cominciò a chiedersi cosa sarebbe potuta diventare la prima sportiva d’America se avesse spostato il V8 dietro il pilota.


XP-819, 1964

L’adesivo attaccato al parabrezza di questo prototipo risalente alla metà degli anni ’60 recitava “Future Vette” ed è da considerarsi una profezia avverata a metà.
La peculiarità della XP-819 era infatti il motore montato addirittura dietro l’asse posteriore: tutto nacque da un confronto tra Zora Arkus-Duntov e Frank Winchell, colui che s’imbarcò di difendere la Corvair dalle voci che la dipingevano come l’auto più insicura d’America; Duntov come sappiamo era a favore del motore centrale, mentre Winchell, visto che i test condotti sulle Corvair con l’aiuto della Chaparral sembravano scagionare la coupé, era sicuro di poter proporre una sportiva V8 con motore posteriore.

Dopo che un primo bozzetto fu bellamente preso in giro da Duntov per la sua bruttezza, Winchell si rivolse al designer Larry Shinoda per migliorare la situazione; nel giro di una pausa pranzo egli se ne uscì con questa vettura e chi prima l’aveva criticata ora era incredulo, la XP-819 aveva subito la stessa metamorfosi della vostra compagna di classe: una volta la prendevate in giro perché bruttina, mentre adesso…
Peccato che l’estetica fosse l’unica cosa positiva del prototipo, perché da guidare ho letto essere ehm, “particolare”: quel V8 di derivazione marina appeso là dietro, la non troppo rigida sezione centrale cava (contenente il carburante) e la quantità esagerata di calore trasferita nell’abitacolo erano grossi punti a sfavore del prototipo.

Chevrolet XP-819
“I got the horses in the back”

Il 70% di peso che gravava sul retrotreno fu probabilmente la causa che portò la XP-819 ad avere un incidente durante alcuni test, “obbligando” Chevrolet a ordinarne la distruzione nel 1969 consegnando il relitto alla leggenda del motorsport a stelle strisce “Smokey” (non quello della Top Secret) Junick, il quale non poté fare altro che obbedire agli ordini della Casa riducendo il prototipo in un ammasso di pezzi.

Non fu comunque uno spreco di tempo: molti dettagli disegnati da Shinoda confluirono nella ‘Vette di terza generazione, il sistema del cofano anteriore incernierato sul davanti fu usato per la Corvette C4 e quel radiatore posizionato orizzontalmente verrà ereditato dalla ben più recente C7 del 2014.

Incredibilmente la XP-819 è stata recuperata e ricostruita di recente, consentendo a molti di poter osservare uno dei progetti più azzardati di GM.


Astro II (XP-880), 1968

Sembra una di quelle auto d’epoca inserite in Grand Theft Auto, vero?
Un mix tra una Dino 206, una Miura e, appunto, una Corvette Stingray.

La sua gestazione durò undici mesi e il pubblico vedendola per la prima volta al New York Auto Show del 1968 si chiese se la Astro II fosse la risposta Chevy alle Ford GT40 Mk3 e Mustang Mach 2 (andate a vedere dove aveva il motore); effettivamente molti dei componenti usati per questo prototipo erano stati “riciclati” dalla normale produzione, sia per guadagnare tempo (poco meno di un anno per mettere in piedi una macchina da zero non è poco), ma anche per dimostrare che un progetto del genere sarebbe stato realizzabile con un costo relativamente contenuto.
Il motore era il V8 Big Block 427 c.i. da quasi 400 CV, ruotato di 180° con il risultato di avere quella che una volta era la parte frontale attaccata al cambio transaxle di una Pontiac Tempest risalente al 1963; proprio questo componente, un malefico convertitore di coppia a due soli rapporti, era decisamente inadatto a una sportiva con tale cavalleria, segno forse della scarsa fiducia riposta da Chevrolet nel portare nei concessionari il progetto.

Chevrolet Astro II
“Oh ma c’è un V8 qua sotto!”

Eppure sembrava abbastanza rifinita, la XP-880: visto che il radiatore era stato spostato dietro al motore, sotto al cofano anteriore c’era posto per i bagagli mentre un altro vano era presente sul lato sinistro dietro l’abitacolo (personalmente ci avrei messo solo per oggetti non infiammabili)… ah, si dimenticarono di installare i fanali anteriori.
Il mix di parti provenienti da Camaro, Corvette e chissà cos’altro dimostrò di essere divertente da guidare e soprattutto efficace: sulla bilancia c’erano 100 chili in meno rispetto a una Corvette “tradizionale” dotata dello stesso V8 e durante i test toccò 1.0g in curva… sto parlando di un accrocchio americano degli anni ’60, non male!

La cosa che più mi colpisce della Astro II è il suo essere immediatamente identificabile come una Corvette: quello che forse manca alla nuova C8 è proprio questo, visto che a colpo d’occhio non tutti hanno capito che auto stessero osservando… così facendo la pillola della novità è stata un po’ più ostica da ingoiare.


XP-882, 1969

Provando la Astro II Zora Arkus-Duntov e compagnia si resero conto che quel cambio vetusto doveva necessariamente essere cestinato… quale occasione migliore per introdurre un altro pallino di Duntov, la trazione integrale?

Per le due XP-882 prodotte il team di ingegneri attinsero al solito, vasto campionario di parti GM recuperando un V8 Small Block 400 c.i. e un cambio a tre marce automatico (sigh) Turbo-Hydramatic 400 della Oldsmobile Toronado: il motore era posto immediatamente davanti l’asse posteriore mentre la trasmissione, accoppiata tramite catena, di fronte a esso; lo spazio per i differenziali centrale e anteriore c’era, ma inizialmente le ruote motrici erano solo quelle dietro e gli esperimenti compiuti da Zora sulla CERV 2 (erede della CERV 1, idealmente una rivale della GT40) sarebbero serviti solo in un secondo momento quando anche lo Small Block sarebbe stato sostituito da un Big Block.

Tutto sembrava andare bene, fino a quando nella “Summer of ‘69” il General Manager della Chevrolet John DeLorean (QUEL DeLorean) decise di cancellare l’intero progetto XP-882 considerandolo troppo dispendioso, proponendo invece di usare il telaio Camaro… orrore e raccapriccio!
Proprio quando Ford stava stringendo accordi con DeTomaso per i motori della Pantera e AMC era in procinto di far costruire a Bizzarrini la AMX/3, Chevrolet correva il rischio di vedersi declassare la propria sportiva di punta in pony car… probabilmente con queste osservazioni Duntov riuscì a convincere il capo del reparto design Bill Mitchell a esporre l’auto in occasione del New York Auto Show del 1970.
Tra lo stupore del pubblico e della stampa questa argentea vettura smosse la fantasia di tanti, i quali si illusero si poterla vedere sulle strade entro pochi anni: DeLorean cambiò idea e approvò l’installazione di un V8 Big Block.

A questo punto il dramma: il presidente della General Motors Ed Cole ebbe l’idea di acquisire i diritti per lo sviluppo del motore Wankel.

Così de botto, senza senso.

“Ma guarda, io piuttosto che fare il Wankel andrei in pensione…”

Zora venne incaricato di creare un rotativo ad alte prestazioni, ma delegò il compito per evitare notti insonni; delle due XP-882 una ricevette prima il quadrirotore Chevy (Four-Rotor XP-882, 1973) e poi di nuovo un V8 Small Block (Aerovette, 1976) mentre l’altra venne rielaborata nella Reynolds XP-895 del 1972.

Come saprete, nel 1973 nel mondo capitò una cosa chiamata “crisi energetica” che spazzò via tante cose, inclusi i progetti per la Corvette a motore centrale.


CERV III, 1990

La CERV III è una Corvette che si è trasformata in Super Saiyan di terzo livello, penso non ci sia modo migliore per descrivere questa simil-Jaguar XJ220 azzurra.

Derivata stilisticamente dalla concept Indy (non funzionante) di qualche anno prima, la CERV III racchiudeva al suo interno il massimo contenuto tecnologico Chevrolet al tempo: trazione integrale, quattro ruote sterzanti, biturbo, sospensioni attive, materiali quali fibra di carbonio e kevlar… se vi sembra troppo per degli americani, avete ragione.
Questo frutto della collaborazione tra Chevrolet e Lotus (all’epoca facente parte di GM, qua si svela l’arcano) funzionava davvero, come testimoniano le duemila miglia accumulate prima del suo debutto al Salone di Detroit del 1990.

A dire il vero della Corvette rimanevano il marchio e il motore… il V8 era il LT5 (che da lì a poco sarebbe stato montato sulla C4 ZR-1) posizionato centralmente e trasversalmente, contornato da due turbine Garrett per un totale di 650 CV; il resto sfociava nella fantascienza per qualsiasi altro veicolo General Motors di allora, come già detto.
Ammortizzatori a controllo elettronico e bracci in titanio, ovviamente non potevano mancare ABS e controllo di trazione, ogni ruota era sterzante e aveva due dischi freno… per fermare i 1540 kg lanciati a 362 km/h, velocità massima della CERV III, userei ancora l’ancora se me lo consigliasse un ingegnere Chevrolet/Lotus.
Usare una trasmissione normale sarebbe stato troppo banale, quindi vennero unite due Turbo-Hydramatic 425 modificate: una a tre rapporti entrava nell’altra a due in modo da avere sei rapporti, io chiamo questo sistema “Transmission Centipede”.
Il telaio a doppia Y, un classico Lotus, costruito in fibra di carbonio dal peso di 17 kg era unito alla carrozzeria tramite l’uso di quattro supporti idraulici: in caso di malaugurata necessità di dover separare i due, il compito sarebbe stato facilitato dall’impiego di sganci rapidi per le linee benzina e per l’impianto elettrico; nelle fiancate erano stipati tutti i componenti atti a raffreddare le turbine e il cambio, i due serbatoi di benzina e infine pompa e serbatoio olio (il motore era a carter secco).

Chevrolet CERV III Cutaway
Quanto sarebbe stato bello vederla testa a testa contro EB110, 959, XJ220 e compagnia?

Come al solito, la CERV III non venne prodotta: non era nelle intenzioni Chevrolet e sarebbe comunque costata uno sproposito, quanto una Porsche 959 o una Ferrari F40: chi avrebbe pagato $300.000/400.000 per una Corvette?

Con la CERV III termina il filone dei prototipi Corvette “strambi” visto che ci toccherà aspettare fino al 2015 quando le foto di un pick-up nero con un frontale Holden Commodore e un’enorme ala faranno il giro del mondo, alimentando le voci della ‘Vette a motore centrale.


In The End…

Pare che con la C7 si fosse raggiunto il limite del layout tradizionale: rispetto alla precedente C6 il motore è stato abbassato e arretrato… ma per rimanere al passo con la concorrenza del 2020 giocare così di fino con il bilanciamento del peso e aggiungere 50 cavalli non sarebbe bastato, spostare il V8 era una necessità.

La Corvette è ancora oggi la classica sportiva americana, sogno di generazioni intere dotata di un ottimo rapporto potenza/prezzo (almeno in patria): coniugare tradizione con innovazione, senza snaturare l’anima un po’ casual della ‘Vette sarà una sfida.

Il lavoro svolto fin dagli anni ’60 da Zora Duntov ha gettato le basi per la creazione di questa Corvette C8 rivoluzionaria e indicato la giusta strada da seguire, anche se bisogna ammettere che imboccarla decenni fa sarebbe stato davvero troppo presto, sia per le tecnologie disponibili sia per i contesti economici poco favorevoli.

Già siamo sicuri che questa C8 non monterà alcun cambio manuale e verrà il tempo delle inevitabili discussioni sull’introduzione di un modello a trazione integrale supportata da un motore ibrido… però riflettete su tre cose.



Quasi 500 CV, da 0 a 100 km/h in meno di tre secondi, $60.000 per il modello base.
Numeri da Corvette, come se niente fosse cambiato.


Alessandro Bezzi

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