Elaborare e sperimentare: Stanguellini

Se avete conosciuto i vari tuner giapponesi con i videogiochi e pensiate che Mugen o Nismo siano i pionieri in questo campo, continuate a leggere questo articolo.

Come successo con le moto, i giapponesi non hanno inventato molto: i primi elaboratori nipponici apparvero tra gli anni ’70 e ’80, quando in Italia già agli inizi del secolo scorso si cominciava a pistolare sui motori.

Davvero: Karl Abarth dopo i trascorsi in Cisitalia fondò nel 1949 la ditta che lo rese famoso, la romana Giannini getta le sue radici addirittura negli anni ’20 e pure Nardi prima di dedicarsi totalmente ai volanti ebbe qualche esperienza tra trasformazioni e costruzione di vetture complete.

Italiani: santi, poeti, navigatori e pure preparatori.

C’è poi un altro marchio, con sede nella “mia” Modena, che molti hanno sentito solo nominare… penso sia ora di rendergli il giusto onore.

Vittorio Stanguellini e un bialbero: si alzi il sipario


Artigiani della qualità

Dici Stanguellini e pensi subito a Fiat, ma l’azienda protagonista di questo articolo nasce in realtà nel 1879: Celso Stanguellini, nonno di Vittorio era un commerciante di strumenti musicali, dedito in seguito alla costruzione dei timpani da orchestra e creatore di un dispositivo per l’accordatura delle loro pelli grazie al quale ottenne ampi riconoscimenti nell’ambiente.

La costruzione artigianale diventerà d’ora in avanti la parola chiave delle attività anche quando il figlio di Celso, Francesco, sposta l’attenzione della ditta verso le biciclette: applica lo stesso concetto del padre, passando dalla compravendita dei velocipedi alla loro realizzazione, costruendo anche qualche modello da gara e addirittura tricicli a motore.

Intorno al 1908 acquista una Fiat Tipo 0: la prima vettura immatricolata a Modena sarà un passaggio importante per la storia Stanguellini dato che la ditta diventa la prima concessionaria Fiat della provincia e una delle più antiche in tutta Italia, gettando al contempo la base per il capitolo più conosciuto di questa piccola realtà.

La faccenda “automobilistica” si fa sempre più presente: Francesco partecipa a varie competizioni, allora agli albori, guidando marchi ormai dimenticati come Scat e Ceirano prima di passare alla marca di cui è concessionario (Vincenzo Lancia ha inoltre affiancato del modenese in occasione di alcune gare)… questa esperienza porta a mutare ancora una volta la vision dell’attività famigliare.

A causa di impegni professionali però il tarlo delle elaborazioni motoristiche, già presente nella mente di Stanguellini, rimane dormiente visto che dal 1925 preferisce schierare in gare le motociclette modenesi Mignon.

1925, Modena. Sull’estrema destra Francesco Stanguellini e il figlio Vittorio sono a fianco del “loro” pilota, mentre dalla parte opposta uno starter d’eccezione di nome Enzo


Appena quattro anni dopo, Francesco muore: tocca al figlio Vittorio, soltanto diciannovenne, rendere grande in tutto il mondo il suo cognome.


Dalla Balilla a Tripoli

Vittorio era cresciuto in un ambiente molto fertile dal punto di vista della passione dei motori: la Motor Valley si stava formando in quegli anni e fin da piccolo aveva seguito le varie fasi dell’azienda che era stata del padre, quindi dalle bici motorizzate alle auto da corsa era stato fianco a fianco con i meccanici, cercando di imparare quando più possibile da un mondo che lo affascinava molto più rispetto agli studi commerciali che gli erano stati imposti.

Modena è piccola, quella dei motori ancora di più: stringe amicizia con Enzo Ferrari e i fratelli Maserati, lavora inoltre sulle auto di Tazio Nuvolari e assieme al marchese Lotario Rangoni Macchiavelli e al futuro pilota Nando Righetti è protagonista dei primi episodi di guide spiritate della provincia, rigorosamente in notturna lungo i viali cittadini e ognuno a bordo delle proprie automobili.

Macchine elaborate e corse su strada aperta in tarda ora

#itstartedinJapan cosa?

Oltre a essere terribilmente affascinanti, queste sfide ispirano la creazione del secondo tracciato automobilistico modenese, quello che costeggiava i cosiddetti “viali”.

I puntini blu indicano il vecchio tracciato: ora voglio una Balilla Coppa d’Oro per farci i traversi


Ecco, Vittorio guida una Fiat 508 Balilla Sport che aveva personalmente truccato: i trenta cavalli originali sono un ricordo, pare infatti che quel piccolo 1000cc modificato la rendesse più veloce delle Alfa Romeo 6C 1750.

Alla sua Balilla nel 1936 seguono altre “Coppa D’Oro” preparate per la 24 Ore di Spa-Francorchamps e la Mille Miglia, guidate rispettivamente da Rangoni Macchiavelli-Righetti e Righetti-Camellini: se il quarto posto di classe alla “freccia rossa” è il primo, timido, risultato positivo per la scuderia, nel Settembre dello stesso anno in occasione del V Circuito di Modena (quello di cui sopra) Righetti con la monoposto Maserati 4CLT curata da Stanguellini ottiene il primo podio.

Il 1937 segna la creazione ufficiale della Squadra Stanguellini, la vittoria assoluta nella Targa Florio è solo la prima di altre sette; il totale salirà fino a 31 nel 1940, ma con il discorso di Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia le manifestazioni sportive subiscono un brusco stop.

È ora di entrare in guerra.

28 aprile 1940, Mille Miglia. Fioruzzi-Sola sulla SN1100 sono vicini alla vittoria, tanto quanto lo è l’Italia nell’entrare in guerra: l’edificio alle loro spalle lancia un messaggio inequivocabile…


La pausa bellica permette di raccontarvi un paio di aneddoti che mi hanno colpito.

Primo, Vittorio Stanguellini alla domanda “quanti cavalli hanno i suoi motori?” rispondeva alla Enzo Ferrari, con un “cosa volete che ne sappia io se non ho neppure il banco prova: è la strada che lo dice”… curioso perché anni dopo proprio i freni dinamometrici (alcuni ancora oggi usati negli istituti tecnici!) saranno tra i suoi prodotti maggiormente apprezzati.

Alla Tobruk-Tripoli del 1939 nella classe 750cc vinse una Fiat Topolino ricarrozzata ed elaborata da Stanguellini; il pilota Giulio Baravelli rimase al volante per più di 14 ore, con una media di quasi 103 km/h e fin qua è “solo” una delle tante imprese di un motorismo d’altri tempi, nulla di strano.

La piccola Topolino ritratta prima di intraprendere la vittoriosa trasferta africana


Tranne per il fatto che il “mago” aveva rubato dall’armadio di sua moglie un paio di calze, sacrificandone la seta per realizzare un filtro dell’aria da applicare ai carburatori: se questo fatto fece ridere gli avversari (e magari anche voi) pensate che quest’auto aveva l’iniezione aria-acqua.

Sì, prima degli aerei della seconda guerra mondiale e delle Formula Uno turbo degli anni ’80: uno dei carburatori serviva a unire una piccola quantità d’acqua alla miscela aria-benzina che, entrando in camera di combustione, diminuiva la temperatura del motore nel torrido deserto libico.

Altro che BMW M4 GTS.


Ricostruzione e realizzazione

Nel 1946 finita la guerra si deve ricominciare: precedenza a case e lavoro, ma si trova anche l’energia per le auto e le gare.

Stanguellini durante il conflitto non ha perso niente, nemmeno un’auto o un macchinario da officina (neanche la Fiat Tipo 0, nascosta in un fienile durante il conflitto) quindi può ripartire subito a lavorare… e a vincere.

Parte dell’officina in una foto del 1946


Il 1947 vede la creazione della 1100 Sport Internazionale, il cui motore di derivazione Fiat arriverà a sviluppare quasi 100cv nel 1956 (il valore originale si fermava a 40…) e della prima vettura stradale dell’officina modenese, carrozzata Bertone su pianale 508C o 1100/103, a seconda degli anni.


Bellissima la versione berlinetta: la linea ponton (non c’è soluzione di continuità tra i passaruota anteriori e posteriori) le permette di risultare elegante al di fuori delle gare, dove per altro non sfigura affatto.


L’anno successivo la Scuderia cambia nome in Stanguellini Corse, mentre nel passaggio tra gli anni ’40 e ’50 fioccano le novità: nasce la testata bialbero che permette di raggiungere potenze specifiche vicinissime ai 100CV/l, viene inaugurata la nuova sede di Via Schedoni (con la sua caratteristica scritta FIAT) e i possessori di auto stradali possono finalmente acquistare ricambi per elaborare le proprie vetture.

La sede di Via Schedoni al suo massimo splendore


Collettori di scarico, coppe olio maggiorate e alettate, supporti per contagiri, pistoni… quanto sarebbe bello ritrovare una di quelle auto, dotata di quei pezzi dell’epoca?


Il mago delle Junior

Vittorio stesso consigliava a Enzo Ferrari di assumere alcuni suoi validi collaboratori, quindi da un certo punto di vista Stanguellini era una scuola in preparazione per il salto verso Maranello: è il caso di Andrea Fraschetti e Sergio Sighinolfi.

Entrambi piloti e collaudatori (Fraschetti era inoltre un ingegnere e progettista) corsero con le piccole vetture di Modena prima di passare al Cavallino, così come Luigi Musso, Lorenzo Bandini, Jo Siffert e Wolfgang von Trips; la morte al volante di una Ferrari è un altro fatto che accomuna cinque di questi nomi (Siffert perì a bordo di una BRM).

Tutti questi piloti, assieme a tanti altri, si fecero le ossa sulle Formula Junior Stanguellini prima di approdare nella categoria regina.

Simmetrie non pervenute: form follows function


Le Junior erano “formulini” con tantissimi elementi derivati dalla serie e forme che ricordavano quelle delle sorelle maggiori: l’idea di una vettura da gara che potesse permettere a tanti giovani di correre era venuta a Giovanni Lurani e Stanguellini trasse tante soddisfazioni dalle piccole monoposto.

Più di duecento Junior vendute, un centinaio di vittorie in tutto il mondo… finchè il motore rimase a “tirare il carro”, ovvero nella parte anteriore dell’auto, tutto sembrava andare bene.

Un febbricitante andirivieni di bisarche cariche di auto da gara che facevano la spola tra la concessionaria-officina e i porti/aeroporti nazionali


Poi arrivarono gli inglesi: Cooper e Lotus usavano gli stessi telai delle Formula Uno accoppiati ai motori Anglia e Mini, molto più prestanti dei vetusti Fiat e posti alle spalle del pilota.

Vittorio ideò allora la Delfino, molto somigliante alla Ferrari F156F1: nuovo telaio a traliccio e solito motore 1100, ma in posizione centrale/posteriore per battere i britannici al loro stesso gioco.


Non ci riuscì.

Le Junior, come tante altre serie nel motorsport, erano diventate un gioco troppo costoso in cui vincevano i ricchi: questo, unito alla costruzione di una nuove sede e la gestione della concessionaria non permisero un perfezionamento che avrebbe giovato alla Delfino.


“…E adesa?”

Nel 1963 c’è comunque tempo per dedicarsi alla Guzzi Colibrì, una vettura da record che ben figura sull’anello alta velocità di Monza ottenendo 6 record mondiali: motore motociclistico 250cc e 29CV, telaio Stanguellini, carrozzeria realizzata dalla Gransport su disegno di Franco Scaglione

9 ottobre 1963. Monza, Moto Guzzi, Scaglietti, Gransport e Scaglione: un cocktail di nomi sufficiente per ottenere sei record mondiali


Purtroppo è ormai il momento di dire addio alle corse: le Formula 2 e 3 non vanno oltre i collaudi all’Aerautodromo e nel 1965 l’attività sportiva termina.

Sei anni più tardi Peter Kalikow e Alfred Momo, desiderosi di creare una gran turismo a quattro posti che potesse competere con Ferrari e compagnia chiedono a Stanguellini di lavorare sulla “ciclistica”: solo pochissime unità della Momo Virage vedono la luce prima del 1973 quando il progetto, anche a causa della crisi petrolifera, viene abbandonato.

Somiglia vagamente a una DeTomaso Longchamp, ma non è un difetto


Vittorio, il “mago”, muore il 4 Dicembre 1981, ma il cognome rimane.


Francesco, il figlio, assieme ai nipoti Francesca e Simone portano avanti tutta la storia derivante dal loro cognome; il museo è stato creato per questo.


La “S” gialloblu ha seguaci in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone e Stanguellini si occupa tutt’oggi nel curare i restauri a cui vengono sottoposte le auto del marchio, inviando disegni o parti di ricambio.


Vi lascio con un aneddoto.

Vittorio Stanguellini, come altri, aveva capito che togliere peso dalle auto è fondamentale per vincere: sulle chiusure dei cofani, sui bracci delle sospensioni, ovunque (“strana bottega in cui si pagano ventimila lire per ogni chilo in meno” scriveva Guido Piovene)… bene, Francesca mi ha raccontato che pure le chiavi che il nonno usava erano bucate, così erano meno scomode da tenere in tasca e più facili da maneggiare.

Un uomo che aveva elaborato persino le chiavi di casa, che razza di motori preparava?

Alessandro Bezzi




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