Punto e a capo

Se una parte di me spera che grazie alla fusione PSA–FCA il nome Punto resusciterà, l’altra mi suggerisce che, anche in caso di un nuovo modello, questo sarà solo un rebrand di una macchina francese: non proprio la stessa cosa.

La prima volta che mi tocca vestire i panni del purista è per difendere un’utilitaria Fiat, sto invecchiando.

Considerati il listino del marchio torinese (al momento in cui sto scrivendo) più scarno di quello Ferrari, l’introduzione del finto ibrido (mild) solo nel 2020 e l’apparente voglia di seguire il modello Mini appiccicando il logo 500 a quante più tipologie possibili di veicoli, mi sembra che per un nome che in tre generazioni sia stato applicato su quasi dieci milioni di veicoli venduti non ci sia spazio.

Al debutto, la neonata segmento B doveva già affrontare un primo, difficile, esame: quello di sostituire la Uno; se alcuni motori e lo schema sospensivo anteriore erano ripresi dalla “mamma”, un nuovo nome, una nuova piattaforma e una carrozzeria firmata Giugiaro servivano a distaccarsi dallo squadrato passato.

Ecco, mamma.

La Punto 176 giallo urina (il nome ufficiale Giallo Exploit Metallizzato non rende bene l’idea) è la prima auto di cui abbia ricordi, quella su cui venivo trasportato senza ancora comprendere appieno il mondo attorno a me.

Il mio affetto per queste auto nasce così, dalla macchina di mamma.

Tre porte, paraurti neri, targa bianca Torino (che già allora, da vero feticista, apprezzavo) e niente aria condizionata; fu proprio l’assenza del clima che spinse i miei genitori a disfarsene sostituendola con un’altra prima serie, una 90 ELX rossa, con fendinebbia e paraurti in tinta: ovviamente la GT non era stata nemmeno presa in considerazione, ma penso che quel 1.6 benzina avrebbe potuto essere pericoloso nelle mani di un diciottenne.

Se guardo il video di presentazione piango


Ero sicuro che sarebbe stata lei l’auto che avrei guidato appena neopatentato, amavo quella macchina: il colore, la cappelliera posteriore sulla quale facevo saltare le Majorette o le Hot Wheels, la fantasia degli interni, l’illuminazione verde…

Ma di sicuro c’è solo la morte.

La rossa se ne andò (piansi, tanto) anche a causa di numerose spie accesesi sul quadro, spie che – giuro – si spensero appena prima dell’addio, e lasciò il posto alla Punto azzurra… scusate, penso che a nessuno interessi di sapere quante e quali Fiat siano passate nella mia famiglia. Non lo farò mai più.

Con questo articolo voglio celebrare una Fiat che non tornerà mai più, quella che al Salone di Torino 1994 schierava una decina di progetti assurdi, quella che tramite una squadra corse ufficiale creava un’auto da corsa fatta come si deve, quella che vendeva una spensierata cabriolet, tutte figlie della stessa base.

La Punto… appunto.

Maggiora Grama 2

PuntoGrama2 PuntoGrama2
PuntoGrama2 PuntoGrama2



Siamo nel 2020 e il primo che dice “ah la Punto con il telaio della Delta” faccio come Dave Mustaine, lo caccio fuori dal gruppo.

Maggiora, la carrozzeria torinese che illuse (non solo se stessa) con la Delta Evo 3 viola, accoppiò sospensioni, trasmissione e motore della Lancia Dedra 2.0 Turbo 8V HF Integrale a una Punto GT: aggiungete poi quattro Speedline Montecarlo per suscitare l’effetto “Deltona”, discutibilissimi spoiler/allargamenti/plastiche incollate ai vetri posteriori e dei sobri interni in alcantara giallo-blu per avere la Grama 2, il mezzo definitivo per chi pensa di bastonare le Elise con una Uno Turbo.

Siamo seri, con più di 1200kg di macchina e 172CV (ovviamente alle ruote ne arrivano meno) non poteva essere un’arma letale, ma solo un interessante esperimento che avrebbe meritato potenze più elevate, oltre a qualche miglioria a freni e sospensioni, per reggere un confronto, seppur virtuale, con le Celica Turbo 4WD, Delta HF ed Escort Cosworth come riscontrato da alcune riviste a fine 1994.

Punto Grama 2 Cutaway
Non è bella, non andava forte, sarebbe costata un patrimonio, ma chissenefrega

La povera Grama (cattiva, in piemontese) dopo aver impressionato buona parte degli italiani appassionati di auto pare abbia preso polvere chiusa in qualche garage prima di essere trasformata in vettura da slalom, con roll bar e immancabile livrea Martini (su base bianca, quindi addio esclusivo oro by PPG); fu sistemata alla bell’e meglio dal proprietario successivo e solo in tempi recenti ha riacquistato gran parte del suo smalto grazie a un restauro approfondito.

Abarth Grande Punto/Punto Evo



Le più sensate e recenti della lista, sono anche le uniche che realisticamente potremmo permetterci.
Certo, tra queste due e una coeva Fiesta ST sappiamo benissimo quale verrà ricordata come una delle migliori hot hatch di sempre, ma snobbare le italiane con sufficienza sarebbe un errore.

La Grande Punto è per chi ha a cuore le bare, una carrozzeria semplice (i codolini neri citano le Ritmo spinte) che cela un motore T-Jet senza troppe diavolerie moderne, invece la Evo è una versione più rifinita e matura, che si distingue per un’estetica maggiormente elaborata e un abitacolo più moderno, oltre al quattro cilindri Multiair con comando idraulico delle valvole di aspirazione.

Saranno anche due auto spinte da un FIRE turbo e qualche adesivo, carenti sotto alcuni punti di vista e dalla dinamica migliorabile, ma con una cifra contenuta si portano a casa vetture divertenti, sfruttabili tutti i giorni e dall’elaborazione fin troppo facile.

Chi, nei numerosi club, ne possiede una stock è solo perché non ha fatto in tempo la settimana precedente a passare dal mappatore… sembra che se non si tirino fuori 200CV (a motore chiuso) non si sia degni di guidare un’Abarth, ma è scontato sottolineare che gli upgrade in commercio non siano limitati ai power-adder, vista la larga diffusione che queste auto hanno visto negli anni.

MotorsportTour-Zolder MotorsportTour-Zolder
MotorsportTour-Ring MotorsportTour-Ring
MotorsportTour-Ring2 MotorsportTour-Ring2



Vi dirò, quando nel 2018 abbiamo visitato alcuni luoghi del motorsport europeo questa Punto Evo si è rivelata un’auto da viaggio inaspettatamente comoda e davvero a suo agio… al confronto, i rumorini molesti mi avevano tentato nell’abbandonare la Mazda in qualche parcheggio tedesco, davvero.

Bertone Racer

PuntoRacer
Ho percorso 500km per vederla

Il nome Racer era stato usato da Bertone negli anni ’60 per una piccola serie di Fiat 850 Spider “richiuse” da un tetto rigido; a distanza di tre decenni venne ripreso per questa rielaborazione della Punto Cabrio disegnata da Giugiaro.

Avrebbe potuto essere una piccola Coupé e il carrozziere torinese, anziché proporre un progetto strampalato, presentò una vettura molto vicina alla realtà, perfettamente adatta alla filosofia Fiat di riciclare pezzi già “a catalogo”; usando come base una normale Cabrio vennero infatti ridotti i costi di lavorazione (in ottica della produzione in serie, anche se remota) e si ebbe, come secondo vantaggio, quello di disporre del telaio rinforzato rispetto alla versione chiusa, particolare alquanto importante specialmente quando si parla delle 176.

PuntoRacer PuntoRacer
PuntoRacer PuntoRacer
PuntoRacer PuntoRacer



A differenza delle Cabrio disponibili in concessionaria, motorizzate da due motori tranquilli (1.2 58CV e 1.6 88CV) alla Racer venne trapiantato il motore della Punto GT*, operazione giustificata perché non si possono mettere alettoni, paraurti e allargamenti vari solo per fare scena: la macchina perfetta per dare la paga a Tigra, Megane Coach e compagnia.

Il ragazzo con la Punto Cabrio osserva rassegnato i tre personaggi sulla destra mentre discutono su quale letto trascorreranno la notte: comprate una Punto Racer, sfigati


Debuttò al Salone di Torino del 1994 assieme ad altri prototipi basati sulla Punto prima serie, un’iniziativa promossa dalla Casa del Lingotto con risultati… discutibili, anche per i canoni estetici degli anni ’90.

Volete farvi due risate? Aprite Google e cercate Maggiora Scia, Zagato Monomille, Pininfarina Spunto (è una Volvo C30 vero?), Idea Lampo, Coggiola Surf, Giannini 4×4 TL/Topline/Sportline/Drago, Scionieri noname, Marazzi Cabrio Wagon e, SOPRATTUTTO, Boneschi Doblone. Esigo sapere dov’è finito il Doblone, lo voglio vedere.

*precisazione: su internet, a seconda delle fonti, il motore cambia dal 1.6 aspirato al 1.4 turbo della tunz tunz machine icona degli anni ’90 e speravo che un viaggio dove la Racer riposa fugasse i miei dubbi… il pannello informativo cita i dati dell’aspirato, mentre il quadro strumenti è di provenienza GT (manometro del turbo e fondo scala sono prove inconfutabili) quindi sono dell’idea che la Racer montasse il motore della GT.

Punto 188 Kit/S1600

VRAAAAAAAM” Fiat Punto S1600, 2019

Vado matto per i Gruppi K e le S1600, c’è qualcosa nei loro motori aspirati incazzati come un contadino a cui hanno appena rubato l’uva che tirano fuori in me l’animo del tifoso scandinavo di rally.

La Punto Kit era bellissima, con quei parafanghi allargati in maniera aggraziata sembrava una naturale evoluzione del modello di serie, quasi come se fosse stata messa in cantiere da subito e non una raffazzonata da rivettatore giapponese; presentata all’ultimo Motor Show di Bologna prima del Millenium Bug era un coraggioso passo avanti rispetto all’offerta rallistica Fiat del tempo, passo avanti compiuto soprattutto grazie ad alcuni cambiamenti ai piani alti del settore motorsport torinese che consentirono un impegno ben più serio che un paio di trofei con le Cinquecento (seppur formativi) nella disciplina che tanto aveva dato al Gruppo negli anni passati.

Macchina semplice e solida, con motore derivato dalla HGT (cilindrata ridotta a 1597cc, 215CV a 9000g/min che raggiungeranno quota 230 con gli aggiornamenti), cambio sequenziale Hewland a 6 marce e tante migliorie dedicate alla costruzione, materiali e forma dei bracci sospensione su indicazioni dell’ing. Limone; con lo sviluppo guidato da Biasion prima e Andreucci poi, la Punto daggara vide tanti nomi importanti scritti sul vetro di sinistra.

Dallavilla, Basso, Navarra, Cantamessa, Galli, Pedersoli, Scorcioni, Tabaton (Fabrizio), Bettega (Alessandro, ovviamente) oltre ai due tester già citati, non male.



Alla Vernasca Silver Flag 2019 c’era questa, che nel 2001 con Dallavilla-Bernacchini ottenne a Sanremo l’unica vittoria Junior WRC non firmata Sebastien Loeb di stagione (in Italia era impegnato con la Xsara WRC); non sono bravo a riconoscere le auto dal rumore, eppure è inconfondibile l’urlo del 1.6 aspirato, un biglietto da visita che identifica perfettamente le Kit tra tante altre auto da gara.

Scalata, ingresso, ruota alzata e la Punto si spara fuori dal tornante: tutto in quanto, cinque secondi?

Ed è già sparita.

LaPunto



Questa è la mia Punto preferita.

La daily che mi ha accompagnato dalle scuole medie fino a oggi, passando il periodo nel quale non avevo a disposizione una macchina divertente da usare e doveva subire in silenzio le mie frustrazioni di guida… il soprannome di LaPunto se lo guadagnò sul campo.

LaPunto
Sopresina Kinder di metà anni ’90, da sempre sulle auto di famiglia

Ho sempre lodato il suo 1.9 JTD da 80CV, scherzando sul fatto che avesse più coppia della mia MX-5 e che avesse alcuni dati in comune con la Caterham Seven entry level, quella con il tre cilindri Suzuki.

Se ricordo bene è tra le auto da neopatentati con il rapporto potenza/peso più elevato che si possano guidare secondo le leggi attuali, mi bastava questo per essere contento.
Ignoravo il rollio esagerato, la potenza esigua e i sedili per nulla contenitivi (anche se montai un OMP reclinabile, solo sul lato guida) perché avevo un’auto dalla linea non banale, tre porte, parca nei consumi e incredibilmente affidabile.

Gli stop posteriori funzionavano anche in caso di pioggia, che è un po’ come dire “su questa F40 la trama del carbonio è ancora visibile sotto la vernice”.

Un giorno mi trovai per caso in mezzo a una gara di regolarità che percorreva le speciali del Rally di Modena e avevo sul sedile del passeggero un amico molto più capace di me al volante, casualmente già nel mondo delle corse da anni: infiltrati in mezzo ai partecipanti e tallonati da una 106 Rallye riuscimmo a non farci superare solo grazie alle note del mio naviga improvvisato (best ricordo, grazie Lollo).

O come quella volta che dovetti partecipare al raduno veronese dei Cliomani con il naftone azzurro perché non ricordo quale problema avesse la Mazda.

LaPunto is coming for YOU

Decine di chilometri percorsi sulle spettacolari strade della Lessinia tirando TUTTE le marce fino ai tremila giri pur di non essere lasciato indietro (dal gruppo dei lenti), i copricerchi che a fine giro sembravano verniciati di nero dalla tanta polvere che li avevano ricoperti; poi ritorno a casa full gas sulla Brennerobahn con conseguente accensione spia motore… mi sarebbe piaciuto leggere la temperatura della turbina, paragonabile probabilmente a quella del Sole.

Azzurro Astrale Metallizzato, uno dei colori di presentazione (se un giorno avrò una Ferrari Enzo la farò verniciare così) che io chiamo azzurro prémaman per evidenti somiglianze con la tinta tipica dei vestitini da neonati.

Le avevo anche attaccato una striscia parasole OlioFiat, elegantissima citazione a una delle mie livree preferite, che mi ero sempre ripromesso di rifare in maniera decente.

OlioFiat

Ma non avrò più modo di mantenere la parola.
A un soffio dai 220.000km LaPunto ha cessato di esistere.

Non voglio neanche immaginarla una volta consegnata al concessionario, dove sia stata portata o se qualche pezzo sia stato recuperato.

La mia prima auto non esiste più.



Anche lei sparita, come il nome che portava.

Alessandro Bezzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.